backlights benazzi

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  • čas přidán 9. 09. 2024
  • La natura in queste opere di Benazzi ci appare non come un'entità liricamente trasfigurata e a sé stante, concessa alla pura contemplazione, sebbene esaltata dal confronto con il lavoro dell'uomo, o meglio con quelle strutture stereometriche e dilavate che l'artista per l'appunto costruisce in legno, quasi ad indicare una possibilità conoscitiva dei meccanismi di quella stessa natura, nell'intento parrebbe di riscattarla con la traccia dell'uomo (il suo lavoro), e non già con la sua mera presenza.
    Allo stesso modo stanno le Architetture. A prima vista esse sembrano evocare in lingua moderna certe Carceri di Piranesi o i dipinti romani di Granet, un incalzare fitto e gremito di corridoi e penetrali, pavimenti ed archi che non si sa dove conducono, ammesso che conducano. Ma, se stiamo al gioco, sembrano "Carceri" rifatte da un pittore metafisico, una sorta di De Chirico senza manichini, una rincorsa di quinte sceniche di nuovo senza gli attori, senza un grido, senza una pausa.
    Se da un lato tutto questo assicura l'attitudine di Benazzi alla conoscenza del funzionamento interno delle cose, una ossessione per il disvelamento di quello che sta sotto e dietro la superficie (così in certe sue opere degli anni Sessanta, dove gli involucri glabri e netti si spaccano ad esibire l'intreccio dell'interno, come nelle sculture di Fontana o Pomodoro), dall'altro non possiamo sottrarci al pensiero di come quelle architetture solitarie si riferiscano alla Certosa d'lttingen, una delle più belle e chiassose di turisti di tutta la Svizzera, ma qui per l'appunto ancora private della diretta presenza dell'uomo.

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