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The story of Isaac

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  • čas přidán 17. 05. 2024
  • Devo confessare che sono stato indotto ad eseguire questo pezzo a causa di quello che accade in Palestina.
    Questa è la tipica canzone "alla Leonard Cohen". Come molte altre sue produzioni, infatti, può apparire semplice ma in realtà presenta diversi complessi piani di lettura: il rapporto padre-figlio, il sacrificio degli innocenti, l'assurdità di certi ordini calati dall'alto, e così via.
    La storia di Abramo che riceve da Dio l'ordine di sacrificare suo figlio Isacco, per testarne l'obbedienza, si trova nella Genesi 22,1-18 ed è vecchia di 2500 anni. Molti interpreti delle Scritture vi hanno visto un'anticipazione del sacrificio di Cristo, inviato dal Padre sulla croce a redimere i peccati degli uomini. Non a caso, Gesù è chiamato "agnello di Dio" in quanto l'agnello era l'animale più scelto, per la sua innocenza, per i sacrifici alla divinità.
    Ci sono alcune immagini molto belle: l'ascia d'oro per il sacrificio, il padre che cammina verso la montagna e il figlio che corre per stare al passo, il pavone che fa il ventaglio nel verso finale (un segno di speranza?). Sia chiaro che Leonard non è interessato ad un'operazione filologica, fedele al dettato biblico, e nemmeno religiosa o storica: lui la storia di Isacco la racconta a modo suo, senza necessariamente rispettare nessuna delle caratteristiche originali (Isacco, per esempio, per varie ragioni, non doveva avere 9 anni, come si dice nella strofa iniziale, ma almeno una ventina, ed è improbabile che Abramo avesse gli occhi azzurri). Cohen, pur provenendo da una famiglia borghese ebrea, emigrata a Montreal dall'Europa e molto osservante, ebbe una baby sitter cattolica che, spesso, lo portava con lei in chiesa ad assistere alle funzioni e questo lasciò una grande impressione nel piccolo Lenny che, da adulto, miscelerà frequentemente concetti e storie tratte da entrambe le religioni. Isacco (il cui nome significa "egli rise"), il figlio di Abramo, era nato quando i genitori erano ormai centenari e irrimediabilmente sterili, a seguito della promessa di Dio, sentendo la quale Sara, la moglie, rise incredula. Perciò era un figlio amatissimo in quanto a lungo atteso e ormai inaspettato. La richiesta di immolarlo era perciò ancora più dolorosa. Un'altra chiave di lettura è quella delle generazioni più anziane che mandano i giovani a morire in guerra per ragioni spesso assurde. Il brano in questione è contenuto nel secondo album di Cohen, uscito nel 1969, in piena guerra del Vietnam (anche se va ricordato che lui era Canadese, quindi non coinvolto direttamente).
    Il dualismo Dio-uomo, padre-figlio, vecchio-giovane, ecc è spesso presente nella poetica coheniana: ricordiamo solo, a titolo di esempio, Joan of Arc in cui l'eroina francese dialoga con il fuoco, che la consumerà (sul rogo a cui la spedirono gli inglesi, in una sorta di rito matrimoniale. Anche qui c'è l'amor sacro e l'amor profano, la guerra, il sacrificio, ecc). Ci sarebbero, ovviamente, mille altre cose da dire: andate e leggete. Suggerisco caldamente di procurarsi il testo (grazie, Google!) e cercare di coglierne le mille implicazioni (eventualmente, anche la metà, può andar bene).
    Songs from a room, l'album su cui questo brano si trova, è un disco con un'atmosfera molto oscura, dark, replicata nelle sonorità rarefatte dei pezzi, con un accompagnamento spesso limitato alla chitarra classica dell'autore, un basso, un'armonica e poco altro. Cohen l'aveva composto sull'isola di Hydra dove si era rifugiato per sfuggire alla depressione e alle sostanze che assumeva in discrete quantità e, soprattutto, in cerca di pace per scrivere il suo libro. Egli infatti non si riteneva un cantautore (alcuni critici, ascoltando il disco, dissero che Lenny, che in effetti qua e là stonicchia, "non sapeva e non poteva cantare. Punto.") ma uno scrittore; il problema era che con le sue poesie e romanzi, "non riusciva a pagare l'affitto". Quando era in sala di registrazione, Cohen si metteva davanti ad uno specchio perchè si era abituato così a cantare le sue canzoni nella "sua stanza", come dice il titolo.
    In quel periodo intrecciò anche un "grande amore" con la norvegese Marianne Ihlen, raffigurata anche sulla copertina dell'LP, a cui dedicherà, nel momento della loro separazione, una delle sue canzoni più famose. Sarà proprio alla mai dimenticata Marianne che, dal letto di morte, egli scriverà l'ultimo addio.
    L'unica interprete famosa, che io ricordi, che osò offrire una sua versione è stata Judy Collins (che è poi la responsabile della carriera di cantautore di Cohen in quanto per prima registrò Suzanne, e altre sue composizioni, che gli diedero la fama, e lo stimolò ad esibirsi, vincendo la sua fortissima paura del palcoscenico. Devo dire però che Judy "vlue eyes" tradisce il clima dark e drammatico del pezzo, riempiendolo di suoni clavicembalistici e, soprattutto, della sua voce troppo pura per cantare una storia così violenta e disperata come questa. Vabbè, dai, adesso l'ho fatta pure io.

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