60 bambini vivono in carcere. Hanno meno di 3 anni

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  • čas přidán 4. 12. 2017
  • I bambini in carcere li avevo già incontrati durante un mio viaggio negli istituti detentivi nel 2012. Allora ne erano circa 90. Era un numero che onestamente non mi diceva niente, una statistica che raccontava di figli di donne che avevano compiuto qualche reato e quindi il mio pensiero era "chi va per mare questi pesci prende".
    Qualche anno dopo, invece, mi raccontarono di un'associazione a Roma che si prendeva "cura" di questi bambini, nel senso che si impegnava per portarli qualche ora fuori dal carcere. Mi chiesi cosa spingesse queste persone a occuparsi dei figli di donne che avevano fatto reati che in qualche modo incidevano anche sulla loro qualità della vita. I bambini in carcere sono principalmente figli di rom finite dentro per scippi e rapine.
    Prima di registrare questo servizio li andai a trovare nella sede dell'associazione che si trova in centro a Roma. Avevo molte perplessità, mi aspettavo di trovarmi davanti degli invasati. E invece conobbi una signora anziani gentilissima, dai modi garbati e mai prevaricanti. Si chiamava Gioia Passarelli, ora non c'è più. MI disse: "Guardi, capisco il suo pregiudizio ma il modo migliore per capire perché lo facciamo è andare in carcere e passare qualche ora con questi bambini".
    E così feci. Chieste le dovute autorizzazione andai a Rebibbia a intervistare quelle persone.
    Tutte le donne che vedete nel video non sono state preparate, nel senso che chiesi di non dire a nessuna di loro cosa le avrei chiesto se non il giorno stesso del mio arrivo.
    Fatte le interviste, mi misi in un angolo del carcere a osservare quello che succedeva, come passavano le ore in carcere questi bambini, nel modo meno visibile possibile.
    Il primo pugno nello stomaco lo ebbi quando non so per quale ragione, un poliziotto penitenziario dovette chiudere i cancelli di una cella. Una bimba di circa 4 anni lasciò la gamba della mamma alla quale era afferrata per ragioni di stabilità e si lanciò carponi verso l'inferriata. Aveva il ciuccio in bocca e con una manina battè su quella inferriata come a dire "aprimi, perché hai chiuso, che ho fatto di male".
    Un senso di angoscia e ingiustizia arrivò, invece, quando questi bambini furono messi su un pullman per l'uscita del sabato, un giorno in cui lasciano le loro mamme e vengono affidati ai volontari che li portano a vedere il mare.
    Lo stupore nei loro occhi davanti a quella distesa azzurra era prevedibile, così come lo è per tutti i bambini. Vedere che nessuno di loro piangeva per l'assenza della mamma invece mi impressionò. Così come vedere che al ritorno dalla gira, con il bus fermo davanti all'ingresso del carcere, nessuno voleva scendere e tornare dalle mamme. Proiettai questa educazione nel futuro e mi chiesi "cosa diventeranno? Come elaboreranno tutto questo? E' una esperienza che li rende migliori? Stiamo immettendo nella società persone migliori?".

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