Benedetto XVI a Genova: coltivate una fede pensata, capace di dialogare in profondità con tutti

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  • čas přidán 10. 06. 2017
  • Il 18 maggio 2008, in occasione della sua Visita Pastorale a Savona e Genova, Benedetto XVI celebrò la Santa Messa nel capoluogo ligure davanti a 100mila fedeli. Riascoltiamo e rileggiamo la bellissima omelia che ci fa riflettere su molti aspetti teologici. Il testo è consultabile qui: goo.gl/ZsMfrS
    In particolare:
    "...al termine di un’intensa giornata trascorsa in questa vostra Città, ci ritroviamo uniti attorno all’altare per celebrare l’Eucaristia, nella solennità della Santissima Trinità. Da questa centrale Piazza della Vittoria, che ci accoglie per la corale azione di lode e di ringraziamento a Dio con cui si chiude la mia visita pastorale, invio il più cordiale saluto all’intera comunità civile ed ecclesiale di Genova.
    C’è dunque, in queste Letture, un contenuto principale che riguarda Dio, e in effetti la festa di oggi ci invita a contemplare Lui, il Signore, ci invita a salire in un certo senso “sul monte” come fece Mosè. Questo sembra a prima vista portarci lontano dal mondo e dai suoi problemi, ma in realtà si scopre che proprio conoscendo Dio più da vicino si ricevono anche le indicazioni fondamentali per questa nostra vita: un po’ come accadde a Mosè, che salendo sul Sinai e rimanendo alla presenza di Dio ricevette la legge incisa sulle tavole di pietra, da cui il popolo trasse la guida per andare avanti, per trovare la libertà e per formarsi come popolo in libertà e giustizia. Dal nome di Dio dipende la nostra storia; dalla luce del suo volto il nostro cammino.
    Da questa realtà di Dio, che Egli stesso ci ha fatto conoscere rivelandoci il suo “nome”, cioè il suo volto, deriva una certa immagine di uomo, cioè il concetto di persona. Se Dio è unità dialogica, essere in relazione, la creatura umana, fatta a sua immagine e somiglianza, rispecchia tale costituzione: essa pertanto è chiamata a realizzarsi nel dialogo, nel colloquio, nell’incontro: è un essere in relazione. In particolare, Gesù ci ha rivelato che l’uomo è essenzialmente “figlio”, creatura che vive nella relazione con Dio Padre, e così in relazione con tutti i suoi fratelli e sorelle. L’uomo non si realizza in un’autonomia assoluta, illudendosi di essere Dio, ma, al contrario, riconoscendosi quale figlio, creatura aperta, protesa verso Dio e verso i fratelli, nei cui volti ritrova l’immagine del Padre comune. Si vede bene che questa concezione di Dio e dell’uomo sta alla base di un corrispondente modello di comunità umana, e quindi di società. E’ un modello che sta prima di ogni regolamentazione normativa, giuridica, istituzionale, ma direi anche prima delle specificazioni culturali; un modello di umanità come famiglia, trasversale a tutte le civiltà, che noi cristiani esprimiamo affermando che gli uomini sono tutti figli di Dio e quindi tutti fratelli. Si tratta di una verità che sta fin dal principio dietro di noi e al tempo stesso ci sta sempre davanti, come un progetto a cui sempre tendere in ogni costruzione sociale.
    In una società tesa tra globalizzazione e individualismo, la Chiesa è chiamata ad offrire la testimonianza della koinonìa, della comunione. Questa realtà non viene “dal basso” ma è un mistero che ha, per così dire, le “radici in cielo”: proprio in Dio uno e trino. E’ Lui, in se stesso, l’eterno dialogo d’amore che in Gesù Cristo si è comunicato a noi, è entrato nel tessuto dell’umanità e della storia per condurle alla pienezza. Ed ecco allora la grande sintesi del Concilio Vaticano II: la Chiesa, mistero di comunione, “è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Cost. Lumen gentium, 1). Anche qui, in questa grande Città, come pure nel suo territorio, con la varietà dei rispettivi problemi umani e sociali, la Comunità ecclesiale, oggi come ieri, è prima di tutto il segno, povero ma vero, di Dio Amore, il cui nome è impresso nell’essere profondo di ogni persona e in ogni esperienza di autentica socialità e solidarietà.
    Dopo queste riflessioni, cari fratelli, vi lascio alcune esortazioni particolari. Abbiate cura della formazione spirituale e catechistica, una formazione “sostanziosa”, più che mai necessaria per vivere bene la vocazione cristiana nel mondo di oggi. Lo dico agli adulti e ai giovani: coltivate una fede pensata, capace di dialogare in profondità con tutti, con i fratelli non cattolici, con i non cristiani e i non credenti...."

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