Il Bel Canto secondo G.Rossini (1858) - Belcanto It. in visita a Casa Rossini, Lugo (Ravenna), 2023

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  • čas přidán 28. 08. 2024
  • Durante la visita di Belcanto Italiano, del 7 ottobre 2023, alla Casa lughese del padre di Gioachino Rossini, il M° Mattia Peli 'condivide' con tutti gli ascoltatori un momento di lettura delle semplici, quanto profonde, parole dello stesso Rossini sul Bel Canto, dette - secondo la testimonianza del Michotte - dal grande compositore marchigiano in Francia nel 1858.
    ROSSINI SUL "BEL CANTO" :
    «Il "bel canto" è costituito da tre elementi:
    1° Lo strumento - la voce - lo "Stradivari", se volete;
    2° La tecnica, ossia i mezzi per servirsene;
    3° Lo "stile" che ha come ingredienti: il gusto e il sentimento.
    In primo luogo parliamo della voce, dello strumento che bisogna formare. Il fatto è che la natura ahimé! non crea un organo perfetto in tutte le sue parti, così come un pino non fa nascere uno "Stradivari". Come è necessario un liutaio per costruirlo, così sta al futuro cantante produrre lo strumento di cui intende servirsi. E in questo caso il lavoro è ben più lungo e arduo!
    In passato, presso i miei connazionali, si facilitava questo compito: si rimediava alla mancanza di compiacenza della natura, fabbricando dei "castrati". Il mezzo, è vero, era eroico, ma i risultati erano meravigliosi. Ho ancora potuto ascoltare qualcuno di questi "ragazzoni" quando ero giovane.
    Non potrò mai dimenticarlo. La purezza, la miracolosa flessibilità di queste voci e soprattutto il loro accento così estremamente "penetrante", tutto ciò mi aveva commosso, affascinato al di là di ogni parola. (...)»
    Poi, dopo aver dato qualche dettaglio sullo straordinario virtuosismo dei "castrati", il maestro proseguì :
    «Ah! sì, a quei tempi, era un lavoro ingrato la formazione della voce, dello strumento.
    Si cominciava lavorando esclusivamente all'emissione pura e semplice del suono. L'omogeneità dei timbri, l'uguaglianza tra i registri, questa era la base della formazione sulla quale si basava il resto degli studi. Questo insegnamento pratico constava di almeno tre anni di esercizi. (...)
    Quando finalmente l'organo aveva acquisito la flessibilità e l'uguaglianza volute, ossia una volta che il futuro cantore era in possesso del suo "stradivari", soltanto allora cominciava ad imparare a "servirsene" : LA TECNICA; essa comprendeva l'impostazione, la tenuta dei suoni e tutti gli esercizi di virtuosismo: vocalizzi, gruppetti, trilli, etc.»
    - «Per tre anni,» interruppe l'Alboni, «il mio insegnante di canto m'ha tenuto su un'unica pagina che possiedo ancora e che da sola contiene tutti i tipi d'esercizi accademici di tenuta dei suoni, d'agilità, etc.»
    - «E che t'ha insegnato», aggiunse Rossini, «a costruire il suono in modo un po' diverso rispetto ad oggi; perché attualmente i cosiddetti cantanti sono, bisogna ammetterlo, degli strani discepoli. Mentre un lungo apprendimento è necessario per suonare il clarinetto, strumento "già pronto all'uso", loro, confidando con presunzione in uno strumento "che non è per nulla pronto all'uso", ossia una voce rozza, disomogenea, mal impostata, affrontano il pubblico senza batter ciglio, non sanno condurre una nota senza ricorrere a una sorta di ripetizione, non la lasciano estinguersi naturalmente senza un colpo di glottide che ha l'aspetto di un singhiozzo interrotto» (...)
    Egli proseguì così: «Dopo questo, cominciava il lavoro sulle vocali. Ecco in cosa consisteva: l'impostazione dei suoni e i vocalizzi si eseguivano dapprima su ciascuna vocale, una alla volta, "a", "e", "i", "o", "u", poi si facevano scorrere progressivamente quest'ultime, tutte e cinque, su una nota dello stesso valore o su un gruppo di note. (...)
    Questo sistema si applicava su tutte le note tenute e su tutti gli esercizi, che si complicavano all'infinito.
    Lo scopo era di arrivare al punto in cui il suono, per quanto possibile, non variasse di timbro e di intensità, nonostante i movimenti della lingua e delle labbra, provocati dalla successione delle vocali, ora aperte, ora chiuse. In questo modo si ottenevano delle "o" che non sembravano uscire da un megafono, delle "e" che non assomigliavano al verso gracchiante di una raganella e delle "i" che non erano preparate "à la vinaigrette"; questa era una delle parti più delicate dell'insegnamento. Allo studio delle vocali seguiva quello dei dittonghi, delle consonanti, dell'articolazione, della respirazione etc. Si badava soprattutto che il suono si propagasse grazie all'aiuto del palato della bocca. Questo, in effetti, è il trasmettitore per eccellenza di una bella sonorità. E in questo bisogna ammettere che la lingua italiana sembra davvero privilegiata nel promuovere lo sviluppo del "bel canto". "Amâre... bêllo..." Questi "mâ", "bêll", piazzati sul palato e così trasmessi, non son già musica?»
    [dal libricino di Edmond Michotte intitolato "Une soirée chez Rossini à Beau-Séjour (Passy) 1858, Exposé par le Maestro, des principes du 'Bel Canto'", 1895 ca. - trad. it. di Carolina Barone, rivista da Mattia Peli]
    belcantoitalian...

Komentáře • 1

  • @ArteconvivioItalia
    @ArteconvivioItalia  Před 10 měsíci

    E questo, per tutti voi, è un gustoso aneddoto rossiniano:
    Invitato a pronunciarsi su la puerile questione, sollevata più volte ed anche recentemente, se Gioacchino Rossini debba considerarsi pesarese o lughese, il Maestro si trasse d'impaccio con una delle sue solite arguzie e rispose:
    «Mi chiamano "il cigno di Pesaro"; sarò anche "il cignale di Lugo"».
    (aneddoto n.153, da: "ANEDDOTI ROSSINIANI AUTENTICI", raccolti da Giuseppe Radiciotti - Roma, 1929)