"L'orto" di Eugenio Montale

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  • čas přidán 12. 09. 2024
  • Voce: Silvia Vitali
    Chitarra: Massimo Brambilla
    Musiche: Everybody Hurts dei R.E.M
    Foto: Alberto Santambrogio
    Eugenio Montale (1896-1981), vincitore del premio Nobel nel 1975.
    La poesia, pubblicata l'11 aprile del 1946, è stata inserita successivamente nella raccolta "La bufera". Poesia ricca di immagini e suggestioni su cui prevale il ripetuto "Io non so…"
    TESTO
    Io non so, messaggera
    che scendi, prediletta
    del mio Dio (del tuo forse), se nel chiuso
    dei meli lazzeruoli ove si lagnano
    i luì nidaci, estenuanti a sera,
    io non so se nell'orto
    dove le ghiande piovono e oltre il muro
    si sfioccano, aerine, le ghirlande
    dei carpini che accennano
    lo spumoso confine dei marosi, una vela
    tra corone di scogli
    sommersi e nerocupi o più lucenti
    della prima stella che trapela -
    io non so se il tuo piede
    attutito, il cieco incubo onde cresco
    alla morte dal giorno che ti vidi,
    io non so se il tuo passo che fa pulsar le vene
    se s'avvicina in questo intrico,
    è quello che mi colse un'altra estate
    prima che una folata
    radente contro il picco irto del Mesco
    infrangesse il mio specchio, -
    io non so se la mano che mi sfiora la spalla
    è la stessa che un tempo
    sulla celesta rispondeva a gemiti
    d'altri nidi, da un folto ormai bruciato.
    L' ora della tortura e dei lamenti
    che s'abbatté sul mondo,
    l'ora che tu leggevi chiara come in un libro
    figgendo il duro sguardo di cristallo
    bene in fondo, là dove acri tendìne
    di fuliggine alzandosi su lampi
    di officine celavano alla vista
    l'opera di Vulcano,
    il dì dell'Ira che più volte il gallo
    annunciò agli spergiuri,
    non ti divise, anima indivisa,
    dal supplizio inumano, non ti fuse
    nella caldana, cuore d'ametista.
    O labbri muti, aridi dal lungo
    viaggio per il sentiero fatto d'aria
    che vi sostenne, o membra che distinguo
    a stento dalle mie, o diti che smorzano
    la sete dei morenti e i vivi infocano,
    o intento che hai creato fuor della tua misura
    le sfere del quadrante e che ti espandi
    in tempo d'uomo, in spazio d'uomo, in furie
    di demoni incarnati, in fronti d'angiole
    precipitate a volo… Se la forza
    che guida il disco di già inciso fosse
    un'altra, certo il tuo destino al mio
    congiunto mostrerebbe un solco solo.

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