Maria Valtorta - Evangelo 42: La morte di Giuseppe. Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore.

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  • čas přidán 25. 01. 2020
  • MARIA VALTORTA
    La morte di Giuseppe. Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore.
    Evangelo 42
    (5 febbraio 1944, ore 13,30).
    Prepotentemente, mentre sono dietro a correggere il fascicolo, e precisamente quel dettato sulle pseudo-religioni di ora, entra in me questa visione. La scrivo mentre la vedo.
    Vedo un interno di laboratorio da falegname. Ma sembra che due delle pareti di esso siano formate da pareti di roccia, come se si fosse approfittato di grotte naturali per formare vani di casa. Qui sono precisamente i lati nord e ovest quelli che sono di roccia, mentre le altre due pareti, sud e est, sono di intonaco come le nostre.
    Nel lato nord, in un’insenatura della roccia, è stato ricavato un focolare rudimentale, sul quale è un pentolino con della vernice o colla, non capisco bene. Le legna, bruciate da anni in quel posto, hanno tinto la parete che pare incatramata tanto è nera. Un buco nella parete, sormontato da una specie di grosso tegolone ricurvo, vorrebbe fare da camino aspirante il fumo delle legna. Ma deve aver fatto male il suo compito, perché anche le altre pareti sono molto annerite dal fumo, e una nebbia fumosa è anche in questo momento sparsa nella stanza.
    Gesù lavora ad un tavolone da falegname. Sta piallando delle tavole che poi addossa al muro dietro a Sé. Poi prende una specie di sgabello, stretto a due lati in una morsa, lo libera dalla stessa, guarda se il lavoro è esatto, lo squadra in tutti i sensi, poi va al camino, prende il pentolino e vi fruga dentro con un bastoncino o pennello, non so; io vedo solo la parte che sporge e che è simile a un bastoncino.
    Gesù è vestito di nocciola scuro e ha la tunica piuttosto corta, le maniche rimboccate oltre il gomito e una specie di grembiule davanti, nel quale si sfrega le dita dopo aver toccato il pentolino.
    È solo. Lavora assiduamente ma con pacatezza. Nessuna mossa disordinata, impaziente. È preciso e continuo nel suo lavoro. Non si infastidisce di nulla, né di un nodo nel legno che non si lascia piallare, né di un cacciavite (mi pare) che gli cade due volte dal banco, né del fumo sparso che gli deve andare negli occhi.
    Ogni tanto alza il capo e guarda verso la parete sud, dove è una porta chiusa, come ascoltando. A un dato momento si affaccia, aprendo una porta che è nella parete est e che dà sul a via. Vedo uno squarcio di viuzza polverosa. Sembra che attenda qualcuno. Poi torna al lavoro. Non è triste, ma è serio. Rinchiude l'uscio e torna al lavoro.
    Mentre è occupato a fabbricare qualcosa che mi sembrano pezzi di cerchio di ruota, entra la Mamma. Entra da una porta della parete meridionale. Entra affrettatamente e corre verso Gesù. È vestita di azzurro cupo è senza nulla sul capo. Una semplice tunica, tenuta stretta alla vita da un cordone d'uguale colore. Chiama con affanno il Figlio e gli si appoggia con ambo le mani ad un braccio con mossa di supplica e di dolore. Gesù la carezza passandole il braccio sulla spalla e la conforta, poi si avvia con Essa lasciando subito il lavoro e levandosi il grembiule.
    Penso che lei voglia sapere anche le parole dette. Ben poche da parte di Maria: «Oh! Gesù! Vieni, vieni. Sta male!». Vengono dette con labbra che tremano e con un luccichìo di pianto negli occhi arrossati e stanchi. Gesù non dice che: «Mamma! » ma vi è tutto in quella parola.
    Entrano nella stanza accanto, tutta ridente di sole che entra da una porta spalancata su un orticello pieno di luce e di verde, nel quale svolazzano dei colombi fra uno sventolìo di panni stesi ad asciugare. La stanza è povera ma ordinata. Vi è un giaciglio basso, coperto di materassini (dico materassini perché sono certe cose alte e morbide, ma non è un letto come il nostro). Su esso, appoggiato a molti cuscini, è Giuseppe. È morente. Lo dice chiaramente il volto di un pallore livido, l'occhio spento, il petto anelante e l'abbandono di tutto il corpo.
    Maria si mette alla sua sinistra, gli prende la mano rugosa e livida nelle unghie, la strofina, la carezza, la bacia, gli asciuga con un pannilino il sudore che fa righe lucide alle tempie incavate, la lacrima che si invetra nell'angolo dell'occhio, gli bagna le labbra con un lino intinto in un liquido che pare vino bianco.
    Gesù si mette a destra. Solleva con sveltezza e cura il corpo che si affossa, lo raddrizza sui cuscini che accomoda insieme a Maria. Carezza sulla fronte l'agonizzante e cerca di rianimarlo.
    Maria piange piano, senza rumore, ma piange. I lacrimoni rotolano lungo le guance pallide sino sulla veste azzurro cupo e sembrano zaffiri lucenti.
    Giuseppe si rianima alquanto e guarda fisso Gesù, gli dà la mano come per dirgli qualcosa e per avere, al contatto divino, forza nell'ultima prova. Gesù si china su quella mano e la bacia. Giuseppe sorride. Poi si volge a cercare con lo sguardo Maria e sorride anche a Lei. Maria si inginocchia presso il letto cercando di sorridere. Ma le riesce male e curva il capo. Giuseppe le mette la mano sul capo con una casta carezza che pare una benedizione.

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