Canto quindicesimo del Paradiso, vv. 1-133

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  • čas přidán 27. 10. 2018
  • Paradiso: Canto XV
    Benigna volontade in che si liqua
    sempre l’amor che drittamente spira,
    come cupidità fa ne la iniqua, 3
    silenzio puose a quella dolce lira,
    e fece quietar le sante corde
    che la destra del cielo allenta e tira. 6
    Come saranno a’ giusti preghi sorde
    quelle sustanze che, per darmi voglia
    ch’io le pregassi, a tacer fur concorde? 9
    Bene è che sanza termine si doglia
    chi, per amor di cosa che non duri,
    etternalmente quello amor si spoglia. 12
    Quale per li seren tranquilli e puri
    discorre ad ora ad or sùbito foco,
    movendo li occhi che stavan sicuri, 15
    e pare stella che tramuti loco,
    se non che da la parte ond’e’ s’accende
    nulla sen perde, ed esso dura poco: 18
    tale dal corno che ‘n destro si stende
    a piè di quella croce corse un astro
    de la costellazion che lì resplende; 21
    né si partì la gemma dal suo nastro,
    ma per la lista radial trascorse,
    che parve foco dietro ad alabastro. 24
    Sì pia l’ombra d’Anchise si porse,
    se fede merta nostra maggior musa,
    quando in Eliso del figlio s’accorse. 27
    «O sanguis meus, o superinfusa
    gratia Dei, sicut tibi cui
    bis unquam celi ianua reclusa?». 30
    Così quel lume: ond’io m’attesi a lui;
    poscia rivolsi a la mia donna il viso,
    e quinci e quindi stupefatto fui; 33
    ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
    tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo
    de la mia gloria e del mio paradiso. 36
    Indi, a udire e a veder giocondo,
    giunse lo spirto al suo principio cose,
    ch’io non lo ‘ntesi, sì parlò profondo; 39
    né per elezion mi si nascose,
    ma per necessità, ché ‘l suo concetto
    al segno d’i mortal si soprapuose. 42
    E quando l’arco de l’ardente affetto
    fu sì sfogato, che ‘l parlar discese
    inver’ lo segno del nostro intelletto, 45
    la prima cosa che per me s’intese,
    «Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
    che nel mio seme se’ tanto cortese!». 48
    E seguì: «Grato e lontano digiuno,
    tratto leggendo del magno volume
    du’ non si muta mai bianco né bruno, 51
    solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
    in ch’io ti parlo, mercè di colei
    ch’a l’alto volo ti vestì le piume. 54
    Tu credi che a me tuo pensier mei
    da quel ch’è primo, così come raia
    da l’un, se si conosce, il cinque e ‘l sei; 57
    e però ch’io mi sia e perch’io paia
    più gaudioso a te, non mi domandi,
    che alcun altro in questa turba gaia. 60
    Tu credi ‘l vero; ché i minori e ‘ grandi
    di questa vita miran ne lo speglio
    in che, prima che pensi, il pensier pandi; 63
    ma perché ‘l sacro amore in che io veglio
    con perpetua vista e che m’asseta
    di dolce disiar, s’adempia meglio, 66
    la voce tua sicura, balda e lieta
    suoni la volontà, suoni ‘l disio,
    a che la mia risposta è già decreta!». 69
    Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
    pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
    che fece crescer l’ali al voler mio. 72
    Poi cominciai così: «L’affetto e ‘l senno,
    come la prima equalità v’apparse,
    d’un peso per ciascun di voi si fenno, 75
    però che ‘l sol che v’allumò e arse,
    col caldo e con la luce è sì iguali,
    che tutte simiglianze sono scarse. 78
    Ma voglia e argomento ne’ mortali,
    per la cagion ch’a voi è manifesta,
    diversamente son pennuti in ali; 81
    ...

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