Santu Paulu delle Tarante - Concerto del M° Ambrogio Sparagna - www.HTO.tv

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  • čas přidán 7. 09. 2024
  • Nel giorno di San Pietro e Paolo, Patroni della città di Roma, il Maestro Ambrogio Sparagna ha portato in Cavea all’Auditorium Parco della Musica uno spicchio, uno spaccato di quella secolare tradizione popolare, di quella profonda devozione, diffusa soprattutto nel mezzogiorno d’Italia, ma non confinatavi, per un uomo, per un Santo, San Paolo per l’appunto. Al Santo si rivolgono le preghiere per invocare la guarigione dal morso di serpenti, dei ragni, dal veleno. Una parafrasi dove quel veleno è il male oscuro, il buio dell’anima, la solitudine. Lo spettacolo, dal titolo “Santu Paulu delle Tarante”, per due ore ha raccontato della comunione, necessaria, per “guarire”. Ambrogio ci ha, metaforicamente, fatto salire su uno di quei vecchi treni a vapore, di quelli che viaggiano su linee ferroviarie, quasi dimenticate, di quelle con un binario solo, con le carrozze con i sedili di legno, dove non c’era privacy, dove ogni viaggio era un’avventura da condividere con gli altri viaggiatori. Lentamente ci ha condotto, stazione dopo stazione, paese dopo paese, piazza dopo piazza verso le radici nodose di un’Italia che troppo spesso tendiamo a dimenticare, ma che, invece, trovano sempre cittadinanza nella sua incessante ricerca che, immancabilmente, genera concerti dal sapore più vero ed autentico. L’orchestra Popolare Italiana, in stato di grazia, il Coro Popolare, composto da oltre 100 elementi, magistralmente diretti da Anna Rita Colaianni, hanno seguito il Maestro Sparagna in questo nuovo ed originale viaggio. La voce suadente, nella sua effervescente freschezza, di Eleonora Bordonaro ha aperto il concerto con una canzone che aveva il sapore, quasi, di una preghiera, di un’invocazione rafforzata dalle coreografie danzanti di Francesca Trenta. Un crescendo di emozioni quelle ideate da Francesca, danzatrice sopraffina che sa trasmettere, e far trasmettere, l’anima stessa delle emozioni. Oltre trecento le danzatrici ed i danzatori, che sotto la sua attenta supervisione si sono incuneati, quasi a viva forza, fra le gradinate della Cavea per portare la gente fra la gente, per comunicare lo spirito insito nella devozione al Santo. Un ispirato Gianni Aversano, con la leggerezza tipica della sua “partenopeità” ci ha fatto sognare con la storia di San Paolo, quasi uno scugnizzo che erra per i vicoli che si dipanano alle pendici del Vesuvio. Raffaello Simeoni, e la sua voce calda e potente, che fende lo spazio ed arriva diretta al cuore, ha dato corpo a quel bisogno, comune, di amore e comunione. E poi, i Pizzicantò da Irsina (MT), con le loro torri umane che hanno attraversato il palco, quasi come a voler inscenare un’invocazione al cielo; ma non solo loro, una sequenza quasi interminabile di artisti profondamente radicati nel territorio che ci hanno portato, quasi fosse un antipasto, un assaggio del loro territorio e delle loro tradizioni devozionali a San Paolo. Profonda, suadente, a volte trasognante, soave, a tratti tagliente, impetuosa e melodiosa la voce di Davide Rondoni che ha letto la sua visione della vita, e della storia, di San Paolo. Ci ha raccontato dell’uomo Paolo, delle sue debolezze, dei suoi limiti, fino a farci scoprire, conoscere, il Santo Paolo; uomo dalla Fede profonda ed incrollabile. Il fenomeno che incarna in maniera più profonda questa secolare tradizione popolare è il tarantismo, diffusissimo, fino a tutta la metà del secolo scorso. Le tarantate erano, per l’appunto, una richiesta di intercessione a San Paolo affinché i mali che affliggevano il cuore dei malcapitati, sino ad ossessionarli, potessero essere guariti. Questa la stazione di partenza per il viaggio di Ambrogio; un viaggio che, come ho detto sopra, ha visto nella coralità delle esecuzioni il suo cardine maestro. Coralità che simboleggia la necessità, da parte di tutti, di avere sempre un “compagno di viaggio” su cui fare affidamento in caso di difficoltà, perché solo così, insieme, aiutandosi e sorreggendosi a vicenda si ha la certezza di poter raggiungere la meta e di vincere i mali che ci affliggono, tenendo sempre ben presente che senza radici non c’è futuro.
    Michela Cossidente
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